[RECENSIONE DOPPIA] UN AGO SIMILE (A. CESARETTI)

il
11 febbraio 2021

Buon pomeriggio Pieces! Tornano Francy e Marta con una recensione doppia in anteprima dedicata al romanzo d'esordio di Annalisa Cesaretti: Un ago simile.
Una storia molto particolare, dove l'amore assume tante forme oltre a quello canonico della coppia. È l'amore della famiglia, degli amici.
Un romance sì, ma anche un romanzo dalla forte impronta sociale, una storia che vuole smuovere le coscienze su un argomento che riguarda la società ma che la società dimentica.
Continuate a leggere il post per saperne di più.
 
UN AGO SIMILE
ANNALISA CESARETTI
Data pubblicazione: 11.02.2021 Editore: Royal Books Edizioni Serie: standalone Finale: Autoconclusivo Genere: contemporary romance - narrativa
Trama: Luigi e Marisol Porzi sono simili, ma non uguali. Nelle loro vene scorre lo stesso sangue e insieme sostengono il peso di un cognome che in quel di Colmite, il paesino in cui vivono, è garanzia di guai. Ma la vera affinità che li lega è cucita lungo le battaglie che combattono in virtù di un solo credo: la tutela dei diritti dei detenuti. Dalla cella del Gebella in cui è recluso, Luigi sceglie la via della rivendicazione; mentre sulle pagine del Gazzettino di Colmite sua nipote conduce inchieste per portare allo scoperto le malefatte del direttore dell’istituto di pena. Proprio a causa dell’ennesimo sopruso, le loro vite, prima inscindibili, si separano per sempre. A unirle ancora al di là del tempo e dello spazio, però, resta il sottile filo che gira attorno alle colpe di entrambi fino a imbastire la pelle di Marisol. E tira, si fa sentire, dal giorno del suo primo incontro con Abel, un giovane architetto finito dietro le sbarre per scontare gli errori della sua famiglia e uscito dal Gebella con la sola aspirazione di consegnare un messaggio alla nipote di Luigi Porzi. Entra nella serratura della fortezza in cui i due ragazzi hanno rinchiuso il passato e nelle loro mani diventa lo strumento con cui suturare le ferite dell’altro. Quel filo, poi, si trasforma nell’unico canale di comunicazione tra gli abitanti del penitenziario e il resto della società; e passando attraverso le crune di aghi simili tenta di rappezzare il futuro di Marisol e di Abel con il logo del sogno di Luigi: un quotidiano di informazione dal e sul carcere redatto dai detenuti.
Lettori carissimi! Sono davvero, davvero molto felice e anche emozionata di parlarvi di un libro che segna l’esordio di un’autrice che stravolge la definizione di contemporary romance, che si prende la briga di trattare un tema decisamente non facile per parlare d’amore, che parla di Amore a trecentosessanta gradi, risaltando un sentimento che sempre più spesso cade nel dimenticatoio: umanità.
Lei è Annalisa Cesaretti, la Royal Books l’editore che continua a sfornare storie originali – oserei dire quasi di nicchia – e questa è la mia recensione in anteprima su “Un ago simile” in uscita proprio oggi.
Parlare di questo libro non è una cosa semplice: bisogna scegliere le parole giuste per cercare di trasmettervi le stesse emozioni che ho provato senza che le mie parole facciano nascere in voi idee sbagliate, per rendergli giustizia, per non sviarvi. È fondamentale però, affinché possiate apprezzarlo appieno, dirvi che non è la storia d’amore tra Marisol e Abel ciò che tutto muove. “Un ago simile” è un romance, questo è certo, ma è anche molto altro.
Prima o poi ogni detenuto deve fare i conti con il desiderio di riscattare il tempo passato dietro le sbarre. È un sentimento che covi dentro come una malattia in germe: cresce dentro di te senza che te ne accorga, poi, da un momento all’altro, esce fuori.
Da qui la difficoltà di recensire. È un libro “destrutturato” se pensiamo ai cardini classici dei romance: protagonista maschile, protagonista femminile, l’incontro tra i due, una storia d’amore che parte a piccolissimi passi e che affronta difficoltà, l’allontanamento, il ritrovarsi, il finale.
Sicuramente Marisol è la protagonista indiscussa della storia, ma Abel non è l’unico co-protagonista. A dividere il podio con loro c’è Luigi. Lui con la sua vita e i suoi misfatti, con la sua voglia di riscatto e al contempo con la consapevolezza di non poter cambiare il passato, lui, delinquente e nonno amorevole… sempre lui a dare il “la” alla storia e che resta presente in ogni pagina, anche quando crederete che sarà definitivamente fuori dai giochi. Anche quando vi sembrerà una mera comparsa.
Io e nonno siamo sempre stati legati da un filo, sottile abbastanza da passare attraverso i chiavistelli delle porte blindate, lungo a sufficienza da superare in altezza i muri di cinta e coprire la distanza che ci separava.
I personaggi secondari sono costruiti in modo da donare leggerezza alle pagine quindi preparatevi a sganasciarvi dalle risate grazie ad Amir, ma anche a sentire un coltello affondare nell’anima quando Stefano scoprirà le sue carte.
Preparatevi alla rabbia e alla frustrazione, preparatevi anche a inveire contro la Cesaretti – io l’ho fatto – che dimostra una grandissima sensibilità nel corso dell’intera opera e che poi, proprio con Abel si comporta da iena (non nutro nessun dubbio che capirete a cosa mi riferisco nel momento in cui ci arriverete).
Detto questo, Marisol dal mio punto di vista rappresenta in maniera impeccabile (nonostante il suo essere maldestra e sanguigna) il concetto di speranza, umanità, bontà.
L’autrice ha preso un tema di cui si parla poco e niente, un tema assediato da pregiudizio e stereotipi di ogni tipo, presentandoci un punto di vista che mai ci fermiamo ad analizzare nel quotidiano, chiusi nelle nostre convinzioni, proprio come la maggior parte degli abitanti di Colmite; Annalisa pone il lettore davanti a uno scorcio di quel che provano i ristretti - perché no, non si chiamano "carcerati" - non solo mentre vivono circondati dalle sbarre, ma soprattutto quando ritrovano, guadagnano, la libertà.
Non sono tenuto a farglielo presente, ma il mio è un esperimento: voglio capire come dovrò regolarmi da qui in avanti con il resto della società. Il biasimo fa subito capolino nei suoi occhi.
Annalisa ci mostra quanto ampio sia il discorso delle carceri e dei detenuti, che il binomio colpa-detenzione e ancora colpevole-pena non sia così scontato. Ci induce a riflettere sul concetto di umanità, quella caratteristica che in teoria tutti noi in quanto essere umani dovremmo avere ma che troppo spesso ci rifiutiamo di applicare ai nostri simili.
La scelta del titolo mi ha incuriosita da subito, proprio non riuscivo a capirlo, e poi mi sono sciolta e mi si è gonfiato il petto quando finalmente ne ho compreso il significato.
Ho avuto l’onore di leggere quest’opera come beta, ma nella prima lettura ero troppo concentrata ad aiutare Annalisa in alcuni snodi per lasciarmi andare emotivamente. Ci tenevo però a rileggerlo, per poter usare gli occhi dell’anima e non del cervello. E così ho fatto nei giorni scorsi quando dalla Royal è arrivata la copia ARC.
La seconda lettura è stata una bomba con una potenza di detonazione che non immaginavo: essere a conoscenza dei fatti ha amplificato le emozioni in maniera esponenziale ed è un evento raro. Mi è sembrato di vedere il turbinio di emozioni negli occhi di di Luigi, il temperamento di Marisol, le insicurezze di Abel, il rimorso di Stefano, l’arrendevolezza di Amir a una condizione che non ha mai pensato di poter cambiare; la bontà di Antonio, la faccia da schiaffi di Walter, la rabbia di Gil, la “condanna” di Michele che seppur non concretizzata con la restrizione non è certo meno dolorosa.
È un libro che insegna sia il linguaggio corretto da usare rispetto a questa ambientazione, sia a non dimenticarci di ampliare le vedute; che non esistono solo il bianco e il nero… ma c’è una ben determinata tonalità di grigio che andrete a cercare, ne sono sicura.
Da un po’ di tempo, infatti, la Signorina Porzi ha sviluppato una sorta di ossessione per il color grigio cadetto. Si tratta, tra l’altro, di una fissa malcelata e ne saprà qualcosa la cancelleria della redazione del Gazzettino di Colmite, che dal prossimo mese – dopo l’ordine effettuato dalla suddetta – avrà solo cartelline e matite di quel colore.
La Royal Books continua sulla strada dell'originalità e accuratezza intrapresa un anno fa: lo dimostra con la scelta delle autrici e dei temi trattati, con la grafica sempre impeccabile dentro e fuori, con il coraggio di portare all’attenzione del pubblico uno sdoganamento del romance: un genere che può essere il vettore di riflessioni profonde, che non è solo la “storiella d’amore”.
Il pov è in prima persona alternato irregolare tra Marisol e Abel (ad eccezione dei primi importantissimi capitoli che sono affidati a un lettore onnisciente); ogni capitolo è provvisto di un sottotitolo sempre calzante, i personaggi sono ben costruiti, l’intreccio narrativo è complesso e ben congeniato. Niente è lasciato al caso: dalle descrizioni alle battute, ai dialoghi, alle professioni dei protagonisti, alle metafore, al susseguirsi degli eventi. Al lettore non è anticipato nulla, scopre i fatti man mano che lo fanno i protagonisti e questo permette di calarsi nella storia, di provare empatia, di vedere le scene prendere vita sotto i suoi occhi.
È un libro che a mio pare ha tutto: gioia, dolore, ironia, precisione, erotismo, calore, disperazione, musica. È una lettura che non svaluta né sottovaluta nessun aspetto dell’animo umano, né le brutture né le bellezze. Esamina tutto con una naturalezza a tratti disarmante.
Questa autrice ha talento e sa di cosa parla quando scrive, e questo non è scontato. La conoscenza degli argomenti trattati permea le pagine e le rende reali, tangibili, credibili proprio perché corrispondenti al vero.
Il problema è che la comunicazione sul carcere pecca di pressapochismo e inesattezze. E sapete per quale motivo? Perché a raccontarlo dovrebbero essere i detenuti stessi. Che per quanto diversi, hanno qualcosa in comune con chi sta fuori: il diritto di comunicare. C’è sempre qualcosa che ci rende simili all’altro. Anche quando sembra di cercare un ago in un pagliaio.
Avete presente le parole di Muhammad Ali “Vola come una farfalla, pungi come un’ape”? Ecco, è proprio così che descriverei il libro di Annalisa Cesaretti: punge come un’ape nelle coscienze, ma lo fa con la delicatezza di una farfalla.
Non pensate nemmeno di saltare la lettura del glossario o delle note perché il primo è indispensabile per approcciarvi al meglio alla lettura; le seconde per vedere uno scorcio dell’anima dell’autrice e, considerato che questo è il suo primo lavoro, come non volerne sapere di più su colei che gli ha dato vita?
Ringrazio lei e la Royal per avermi resa parte di un progetto che mi ha arricchita non solo come lettrice, ma soprattutto come persona.
Non ti affido a Dio, ma a te stessa. E credimi se ti dico che non potrei lasciarti in mani migliori.
Vi affido questa recensione, sperando di essere stata in grado di spiegarvi perché secondo me non potete farvi scappare questo libro.

 
Quando ho iniziato a leggere “Un ago simile” non sapevo cosa avrei trovato all’interno.
Vi spiego: a fine aprile 2020, mi è stato chiesto di betare un testo di cui però non potevo sapere il nome dell’autrice e il titolo. Leggerlo e dare le mie impressioni.
Incuriosita da questo proposta ho iniziato la lettura di questo romanzo e riconoscere la penna  è stato semplice perché lo stile di Anna è unico.
Non potrei classificarlo banalmente in qualche genere perché Un Ago Simile affronta talmente tanti temi che definirlo solo un romance sarebbe troppo semplice.
Quello che Annalisa ci porta davanti è sì, una storia d’amore ma alle spalle c’è molto di più.
Ci presenta una realtà che per la maggior parte delle volte viviamo quotidianamente senza vederla, dimenticandola e di cui non abbiamo idea.
Però può coinvolgere un nostro amico, un nostro parente ma nella realtà dei fatti non capiamo davvero cosa voglia dire vivere una realtà carceraria.
Siamo abituati a immaginarci questo mondo abbastanza lontano da noi, ne sentiamo parlare qualche volta al telegiornale e la nostra conoscenza finisce sommariamente lì, nel tempo del servizio.
Ma come si vive davvero in un contesto del genere?
Beh, Annalisa prova a spiegarcelo senza imporre il suo pensiero, senza fare nessuna morale ma mostrando uno scorcio di ciò che può essere la vita dietro alle sbarre, di ciò che possono provare le famiglie coinvolte e non solo i detenuti e quindi, di conseguenza, varie ingiustizie di un mondo come questo.
Lo faccio per quelli come te. Per la gente che sbaglia, ma resta umana. Lo faccio per rendere giustizia a quest’umanità.

Lo fa nel modo più semplice ma diretto, attraverso un linguaggio che mi ha fatta innamorare davvero della sua scrittura che fino a quel momento conoscevo solo nelle recensioni.
Vi  ritroverete a divorare una pagina dopo l’altra grazie proprio alla scorrevolezza e alla maestria delle sue parole. Di come le ha scelte, ponderate e plasmate.
Qualsiasi sfaccettatura trattata non risulterà pesante, bensì incuriosirà la vostra anima da lettori e non potrete non rimanere affascinati, sorpresi, sconvolti da ciò che vi mostrerà.
Non avrete mai l’impressione che voglia santificare qualcuno o che martirizzi il cattivo della situazione.
Semplicemente porta ai vostri occhi diverse realtà, diverse persone; esseri umani che hanno sbagliato, che hanno pagato, pagano o pagheranno per sempre le proprie colpe.
E per presentarvi questo mondo utilizza gli occhi di Marisol.
Marisol è una ragazza che si è ritrovata a vivere la realtà carceraria abbastanza presto, da quando andava a trovare nonno Luigi durante i colloqui.
Essendo quindi, presa in causa in prima persona, Marisol si è sempre impegnata a combattere contro le ingiustizie, diventando anche una giornalista d’inchiesta ed esperta di diritto penale e carcerario.
E in quella stessa sala , anni dopo, incrocia per la seconda volta i profondi occhi grigio cadetto di Abel.
I loro destini sembrano essere legati più profondamente di ciò che sembra.
Il loro legame è intenso, complici e leali fra di loro vi faranno innamorare lentamente della loro storia fino a entrare profondamente nel vostro cuore.
Non vi nascondo che più volte ho avuto i brividi lungo le braccia tanto intensamente mi sono ritrovata immersa nella loro storia e tanto è stato il trasporto delle emozioni.
Come vi dicevo, tutto questo è stato possibile grazie alla bravura di Annalisa che ha saputo creare egregiamente lo schema della storia, senza lasciare nulla al caso.
Per colpa sua poi mi ritrovo ad avere – ulteriormente – delle aspettative irrealizzabili in fatto di uomini, dato che, uno come Abel è impossibile trovarlo.
E cosa possiamo fare per trovarlo? Possiamo solo ributtarci a capofitto in questo libro bellissimo.
Datemi retta, io vi ho avvisato.
Per il momento è tutto, alla prossima Pieces.


 
Booktrailer fanmade realizzato da Tina Brooks


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